DISTRIBUZIONE SELETTIVA: È LECITA LA CLAUSOLA CONTRATTUALE CHE VIETA LA VENDITA SU MARKETPLACE TERZI?

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Il 26 luglio 2017 sono state depositate dall’Avvocato Generale Wahl le conclusioni relative al caso C-230/16 Coty Germany Gmbh v / Parfumerie Akzente Gmbh.

L’origine del procedimento innanzi alla Corte Europea è da rinvenire nella controversia tra Coty Gmbh, azienda fornitrice di prodotti di bellezza di lusso, e un suo distributore autorizzato in Germania, Akzante, in quanto questo era stato estromesso dalla rete selettiva della prima poiché, vendendo prodotti cosmetici su Amazon.de, aveva agito in violazione della clausola contrattuale disciplinante la loro distribuzione[1]. Il Tribunale di primo grado tedesco, ritenendo la summenzionata clausola contraria all’art 101 TFUE, sulla base del precedente Pierre Fabre (C-439/09)[2], aveva rigettato la domanda di inibitoria introdotta da Coty.

Il Tribunale Superiore Regionale di Francoforte sul Meno (Germania) ha adito la Corte di Giustizia richiedendo la soluzione delle seguenti questioni pregiudiziali prima di poter decidere:

  1. riconsiderare la legittimità dei sistemi di distribuzione selettiva nel settore del commercio elettronico;
  2. se è in accordo con il dettato normativo dell’articolo 101.1 TFUE, il divieto imposto ai distributori autorizzati di vendere mediante piattaforme e-commerce di terzi i prodotti, indipendentemente dal rispetto dei requisiti qualitativi definiti dai fornitori;
  3. se tale divieto debba ritenersi come restrizione per oggetto ex art. 101 TFUE o restrizione “hardcore” della base clienti del rivenditore ai sensi dell’art. 4b) Reg (UE) 33/2010.

L’Avvocato Generale, partendo da alcune osservazioni introduttive, ricorda che le regole del diritto della concorrenza sono finalizzate a prevenire eventuali distorsioni della stessa, la quale è volta a promuovere l’efficienza economica e il benessere dei consumatori. Quest’ultimo da intendersi non soltanto come introduzione dei prezzi più bassi possibili, ma anche un mezzo con il quale differenziare la scelta delle merci, l’ottimizzazione della qualità dei beni e dei servizi forniti nonché, da ultimo, uno stimolo per l’innovazione.

Anche analizzando la giurisprudenza della Corte si può evincere come questa abbia dichiarato a più riprese che i sistemi di distribuzione selettiva fossero compatibili con l’art. 101 TFUE “a condizione che la scelta dei rivenditori si basasse su criteri obiettivi di natura qualitativa, determinati uniformemente e applicati in modo non discriminatorio”.

Partendo da tali basi, l’Avvocato Whal delinea le seguenti conclusioni:

  • riguardo alla riconsiderazione della distribuzione selettiva in accordo con le nuove tecnologie, ritiene debba essere risposto in maniera positiva, in quanto i contratti che disciplinano tale distribuzione per la vendita di merci di lusso e di prestigio, per loro intrinseca natura, devono garantire una modalità di distribuzione idonea a conservare la loro immagine attraente e di lusso. Pertanto sono le caratteristiche specifiche o le proprietà dei prodotti in questione che possono rendere lecito o illecito un sistema di distribuzione selettiva con l’art. 101.1. TFUE;
  • sulla liceità del divieto di distribuzione dei propri prodotti, imposto ai distributori da parte dei fornitori, sostiene che debba essere il giudice del rinvio a valutare la clausola contestata nell’ambito di applicazione, verificando se essa sia compatibile con i criteri esposti dalla giurisprudenza comunitaria. Inoltre deve essere tenuto in considerazione se essa dipenda dalla natura del prodotto o se sia assoluta, se sia determinata in modo uniforme senza distinzione o se vada oltre a quanto necessario;
  • infine, risponde riguardo alla possibilità di una restrizione della base clienti del rivenditore o di una restrizione delle vendite passive agli utenti finali. Per quanto riguarda il primo punto, l’Avvocato generale osserva che tale situazione è da rinvenire solo nel caso in cui, nonostante i prodotti del distributore siano disponibili tramite il proprio sito web, questo è esposto a una perdita di mercato o di clienti. Pertanto, relativamente alla clausola in questione, non è ravvisabile una restrizione della customer base, in quanto ai consumatori che acquistano mediante marketplace di terzi non viene impedito l’acquisto online, ma solamente l’accesso a quei prodotti su siti di terzi, con il solo effetto di ripartire il mercato.

Sulla seconda questione sostiene invece che per determinare l’illiceità della clausola si debba procedere con il metodo case-by-case. A tal fine occorre preliminarmente accertare se una simile clausola, tenuto conto della sua formulazione, del suo obiettivo e del contesto economico e giuridico di cui fa parte, ponga un divieto per tutte le vendite online indistintamente. Analizzando il caso de quo, l’Avvocato Whal ritiene che la clausola posta da Coty non escluda qualsiasi vendita on-line, ma solo una modalità della stessa, in quanto i potenziali clienti possono comunque acquistare tramite piattaforme web e il sito ufficiale del distributore, ma questa previsione ha lo scopo di proteggere le caratteristiche dei prodotti e del brand del fornitore.

Una possibile lettura delle conclusioni a cui è giunto l’Avvocato Generale è che, con la dichiarazione di illiceità della clausola Coty, si sarebbe giunti ad avvantaggiare i distributori, i quali, mediante piattaforme web di terzi, potevano agire come surrogati dei fornitori, arrivando loro stessi a essere tali, giovandosi delle risorse impiegate da parte dei fornitori per la ricerca e lo sviluppo, per il marketing e per qualsiasi altro investimento effettuato per far conoscere il brand, senza però effettivamente sostenere tali costi, aumentando gli utili.

In aggiunta, va sottolineato come in tal caso si darebbe spazio alla creazione di una rete distributiva incontrollabile da parte del fornitore, e tutti gli sforzi fatti per rendere il prodotto di lusso ed esclusivo agli occhi dei potenziali clienti sarebbero vani, eliminando l’appeal commerciale e la nomea dei prodotti stessi.

Tuttavia, rimane necessaria una valutazione caso per caso in quanto, anche osservando la giurisprudenza comunitaria, le necessarie conclusioni devono essere fatte successivamente a una profonda disamina dei prodotti, dei mercati di riferimento e della composizione degli stessi, dal momento in cui una clausola ritenuta valida in un dato settore potrebbe essere altamente lesiva della concorrenza in un altro.

                                                                                               Avv. Mauro Festa

[1] La clausola aveva una nota in cui veniva stabilito che “accordingly, the authorised retailer is prohibited from collaborating with third parties if such collaboration is directed at the operation of the website and is effected in a manner that is discernible to the public”.

[2] Per il quale la corte aveva dichiarato che:

L’art. 101, n. 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale che, nell’ambito di un sistema di distribuzione selettiva, impone che le vendite di prodotti cosmetici e di igiene personale siano effettuate in uno spazio fisico alla presenza obbligatoria di un farmacista laureato, con conseguente divieto di utilizzare Internet per tali vendite, costituisce una restrizione per oggetto ai sensi di detta disposizione se, a seguito di un esame individuale e concreto del tenore e dell’obiettivo della clausola contrattuale in parola nonché del contesto giuridico ed economico in cui si colloca, risulta che, alla luce delle caratteristiche dei prodotti di cui trattasi, tale clausola non è oggettivamente giustificata.

L’art. 4, lett. c), del regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 1999, n. 2790, relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, deve essere interpretato nel senso che l’esenzione per categoria prevista all’art. 2 di detto regolamento non si applica ad un contratto di distribuzione selettiva contenente una clausola che vieta, di fatto, di avvalersi di Internet come modalità di commercializzazione dei prodotti oggetto del contratto. Un simile contratto può invece beneficiare, a titolo individuale, dell’applicabilità dell’eccezione di legge dell’art. 101, n. 3, TFUE, qualora sussistano le condizioni poste da tale disposizione.”

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